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“Avevo deciso di lasciare il mio Paese, la Nigeria, dopo la morte di mio padre. Volevo aiutare mia madre e i miei fratelli. Arrivata in Italia con la promessa di un lavoro, mi ritrovai sulla strada, sotto le direttive di una madame che mi sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche. Pensavo che una volta saldato il debito mi sarei liberata da questo incubo. Ma loro chiedevano sempre più soldi. Sola e senza documenti finii in carcere, pur essendo innocente. Fu una suora che veniva a visitarmi a darmi un’altra opportunità. Mi diede fiducia e convinse la sua comunità in Sicilia ad accogliermi in casa loro, consentendomi di ottenere gli arresti domiciliari. In questi anni, grazie all’aiuto delle sorelle, sono riuscita a trasformare la mia vita e ad aiutare altre giovani, cadute come me nelle mani dei trafficanti. Oggi sono felice: sono mamma e la mia è una bella famiglia, così come lo è la comunità che mi ha accolto e dove tutt’ora lavoro come educatrice”. (Crediti foto: Lisa Kristine)


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“Mi chiamo Somchai e ho 40 anni, molti dei quali vissuti insieme alla mia famiglia, in una baraccopoli in Tailandia. La mia vita non è stata facile. Non ho potuto studiare perché i miei genitori erano poveri, non avevo documenti ed ero e sono tutt’ora affetto da schizofrenia. Mi guadagnavo da vivere con la vendita dei rifiuti. Quando mi è capitata l’occasione di imbarcarmi su un peschereccio ho accettato la proposta, ero stanco di tanta povertà. Sognavo di girare il mondo. Purtroppo, mi trovai in una situazione peggiore di quella di prima: mangiavo poco e non riposavo mai. Anche il pagamento promesso non è mai arrivato. Dopo alcuni mesi sono stato abbandonato in un’isola dell’Indonesia. Non capivo la loro lingua, ho sofferto molto. Ho cercato di fuggire ma è stato solo grazie all’aiuto di due organizzazioni se ho potuto riconquistare la libertà e tornare in Tailandia. Mi hanno aiutato a ottenere i documenti che non ho mai avuto e hanno seguito il mio caso, consentendomi di ottenere il risarcimento dei danni e di costruire una nuova casa, dove vivo con ...


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“Lavoravo in un’industria chimica in Uganda. Dopo essermi ammalata a causa di un’allergia ai materiali che utilizzavamo, dovetti lasciare il lavoro. Comprai un piccolo chiosco per vendere cibo ai passanti. Tutto andava bene, fino a quando venni truffata da un’agenzia che mi offrì di lavorare in Medio Oriente. Credevo di aver avuto una grande opportunità e invece mi ritrovai in un contesto di schiavitù domestica. Lavoravo senza sosta e non ricevevo né cibo né compenso. Non pensavo ad altro che a scappare da quella terribile situazione. Durante un primo tentativo di fuga venni violentata da un taxista a cui avevo chiesto aiuto. Ma la disperazione mi portò nuovamente a fuggire e per fortuna l’altro taxista mi accompagnò in ambasciata. Fu l’inizio di una nuova vita: arrivai in una casa di religiose che si presero cura di me, dandomi cibo, vestiti, dignità. Un giorno chiesi alle sorelle la possibilità di poter rientrare a casa: spesso pensavo alla felicità che mi dava quel piccolo chiosco di cui solo pochi anni prima ero proprietaria. Le suore mi aiutarono a ottenere i documenti e ...


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A LITHUANIAN STORY Aina, a fifteen year old Lithuanian girl, was offered a chance of education in Germany, by a male friend of her mother. She was told that she there could get money for study by washing dishes. Her single mother, a prudent woman, did not want her daughter to travel alone, so the friend invited her to come along too. He drove both to Germany, where he passed the mother on to another man, while he drove her daughter to Spain. There sexual exploitation awaited her…… The girl is now trying to forget her ordeal. We think that human trafficking prevention should be mandatory in schools. No boy or girl ever dreams of being a prostitute or of being exploited for labour. Preventative measures should be taken to insure young people are very sceptical towards what sounds as easy job opportunities in other countries. Story sent by Socialinė konsultantė LIthuania


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Lalani and her dream to study Lalani is a 16 year old girl who was attending high school in Melbourne. Her parents took her to their country of origin for a holiday. When they arrived Lalani discovered that preparations for her marriage were well under way. She didn’t want the wedding to take place but felt she had no choice but to comply. Lalani’s parents returned to Australia taking her passport with them. Lalani’s school friends in Australia had participated in education programmes on their legal rights and current legislation regarding forced marriages. Through facebook, they alerted her to the fact that forced marriage is a slavery-like practice and is illegal in Australia. They told her of a website that could assist her. Lalani was able to receive support through the website. She was assisted to obtain new Australian travel documents and an airline ticket back to Australia. Lalani did not return to live with her family. She told her NGO caseworker that she wanted to reconnect with some family members and was given mediation assistance to do so. Lalani ...


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Joyce – nom d’emprunt- était une adolescente de 16 ans venant d’un village du Nigéria. Elle était orpheline de père et de mère. Sa grand-mère qui s’occupait d’elle faisait un petit commerce pour l’éduquer. Joyce n’a pas été longtemps à l’école juste la fin de l’école primaire, elle s’occupait ensuite des travaux ménagers et aidait la grand-mère dans son petit commerce. Elle fut un jour abordée par une dame qui lui promit de lui offrir un travail dans un restaurant au Burkina Faso ou elle travaillait. Et qu’avec son travail Joyce pourrait mieux s’occuper de sa grand –mère. Celle-ci s’embarqua pour cette aventure s’en informer sa grand-mère, certaine qu’elle n’allait pas lui donner la permission. Après un voyage périlleux et sans papier, elle arriva au Burkina Faso. La dame mise dans une maison avec d’autres filles et après une nuit de répit lui donna une tenue extravagante en lui demanda de la suivre sur le trottoir pour se prostituer. Devant son refus elle la battra et refusa de la nourrir. Finalement Joyce fut semblant d’accepter, mais quelquefois elle se révoltait ...


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